lunedì 30 giugno 2008

Teoremi assassini

Giusto ieri ho terminato la lettura di Delitti pitagorici, romanzo scritto dal dottore in matematica e insegnante liceale Tèfkros Michailìdis recentemente pubblicato in italiano da Sonzogno. Si tratta di un giallo a sfondo matematico ambientato nei primi decenni del '900, imperniato sulla figura di un anonimo professore ossessionato dal "secondo problema di Hilbert" (che riguarda la non-contraddittorietà di un sistema formale). La parte secondo me più godibile della narrazione è quella ambientata a parigi nel 1900 durante il secondo congresso mondiale di matematica (in cui Hilbert, appunto, enunciò i suoi 23 problemi), dove i protagonisti della vicenda interagiscono con i grandi matematici del tempo, figure quasi mitiche i cui risultati sono oggi il piatto forte dei corsi universitari (come Hadamard, De la Vallée-Poussin, Peano, Russell, Frege, Hermite, Lindemann, Minkowski, Jordan, Poincaré e Klein, oltre ovviamente allo stesso Hilbert). Divertente è anche l'inclusione nella vicenda del pittore Pablo Ruiz (più tardi noto con il cognome della madre, Picasso). 
Nel corso della narrazione, per mezzo di alcuni interludi, il destino del povero (co-) protagonista viene presentato in parallelo a quello leggendario di Ippaso di Metaponto, bandito (e, forse, assassinato) dalla scuola pitagorica per aver divulgato l'erroneità del motto "tutto è numero". Si tratta di un escamotage interessante, che rovina però (quasi) tutta la suspence, rendendo un po' vano il depistaggio tentato dall'autore nella seconda metà del libro. Tale pecca è però riscattata dall'amara ironia dell'epilogo, dove la vicenda si intreccia con quella che è forse stata la più clamorosa scoperta della matematica del XX secolo.
Non si tratta quindi certamente di un romanzo perfetto, ma comunque di una lettura consigliata a tutti quelli che, come me, hanno trovato un po' indigesta la parte narrativa del Teorema del pappagallo. Delitti pitagorici contiene senz'altro molta meno matematica di quest'ultimo, ma presenta un intreccio assai più plausibile e una collezione di personaggi decisamente più credibili (da notare che Michailìdis è proprio il traduttore in greco di Guedj, dai cui "errori" ha forse saputo trarre profitto).

mercoledì 25 giugno 2008

Verso l'Alto, non verso il Nord

Il titolo di questo post rappresenta la frase più emblematica del "Racconto fantastico a più dimensioni" Flatlandia (traduzione così così dell'originale Flatland), pubblicato nel 1884 dal religioso inglese Edwin A. Abbott (1838-1926). Nelle intenzioni dell'autore, l'opera è nel contempo una satira sulla società dell'epoca vittoriana e un'introduzione al concetto di dimensione in senso matematico, scritta nel periodo in cui lo studio degli spazi di dimensione superiore stava schiudendo la porta a nuove e rivoluzionarie scoperte in matematica e in fisica (si pensi, ad esempio, alle teorie einsteiniane della relatività). Il racconto è una sorta di diario di un abitante quadrato di un mondo bidimensionale, il quale da un lato sogna mondi a zero e a una dimensione ("Pointlandia" e "Linelandia") e dall'altro viene condotto da una sfera nel suo mondo tridimensionale (la "Spacelandia"), fallendo però nel suo tentativo di propagare la rivelazione della tridimensionalità tra i suoi simili (la frase del titolo riguarda proprio questo: l'"Alto" ha senso solo per chi ragiona in 3D!). Scritto più di un secolo fa, il libro è ancora perfettamente leggibile ed attuale (specie per gli aspetti geometrici), e ragionando per analogie ci fa riflettere su un concetto chiave della geometria moderna, dandoci i mezzi per immaginare quali potrebbero essere le caratteristiche di uno spazio a 4 o più dimensioni.
In italiano il testo è edito da Adelphi oppure leggibile gratuitamente qui. Qui, invece, è disponibile la versione originale inglese.