mercoledì 17 dicembre 2014

Starry, starry night...

... Paint your palette blue and gray
Look out on a summer's day
With eyes that know the darkness in my soul.

Sono i primi versi di Vincent, brano del 1971 pubblicato nell'album American Pie dal cantautore statunitense Don McLean (ripreso, tra gli altri, da Roberto Vecchioni, autore di una splendida versione italiana). Il Vincent in questione altri non è che Vincent Van Gogh (protagonista, in questi giorni, di una mostra a Palazzo Reale, che spero di poter visitare durante le vacanze natalizie), e la Notte stellata che apre la canzone fa riferimento a uno fra i più celebri capolavori del post-impressionista olandese, riprodotto sulla copertina del libro Amore e matematica, di cui ho parlato nel mio precedente post. Ma non è, probabilmente, solo la sua stupefacente bellezza ad aver indotto Edward Frenkel a sceglierlo: a quanto pare, Van Gogh possedeva un innato talento matematico, che esprimeva nella capacità di fare uso di strutture caotiche per conferire maggiore dinamicità ai suoi dipinti. Questa è, almeno, l'opinione dei cinque autori del saggio Turbulent luminance in impassioned van Gogh paintings (scaricabile qui, dall'ArXiv), teoria ripresa in un Ted Talk da Natalya St. Clair (ancora lei). Eccolo, direttamente da YouTube:

lunedì 15 dicembre 2014

Amore e... programma di Langlands

Edward Frenkel (senza rapporti di parentela né con il quasi omonimo Edward Fraenkel, né con il più celebre Abraham Fraenkel) è un matematico di origine russa, attualmente professore all'Università della California a Berkeley. Negli ultimi anni il suo lavoro si è focalizzato su alcuni aspetti del cosiddetto programma di Langlands, di cui è diventato uno degli esponenti di spicco, ma ciò non gli ha impedito di condividere con il mondo la passione per il suo campo di studi, attraverso alcuni dei filmati di Numberphile, la sceneggiatura di un lungometraggio, la partecipazione ad un controverso cortometraggio e, soprattutto, il libro Amore e matematica.
Recentemente tradotto in italiano, nel libro si mescolano un'autobiografia dell'autore, un'introduzione di carattere divulgativo alle idee e agli scopi del programma di Langlands e, non da ultimo, una dichiarazione d'amore nei confronti della matematica intera. 
Saranno piuttosto gli aspetti autobiografici a colpire il lettore occasionale: Frenkel, nonostante la sua relativamente giovane età, è vecchio abbastanza da aver vissuto nell'URSS pre-perestroika, subendo in pieno le conseguenze dello strisciante antisemitismo sovietico (agli studenti di famiglia ebraica era precluso l'accesso alle facoltà più prestigiose). Fortunatamente, qualche escamotage (come il frequentare di nascosto i corsi più interessanti, con la complicità di chi aveva riconosciuto la sua bravura) permise al suo talento di sbocciare, facendone uno dei teorici dei numeri più interessanti della sua generazione. Per quanto riguarda gli aspetti più tecnici, il libro risulta invece piuttosto impegnativo. Frenkel fa del suo meglio per presentare in modo accessibile alcune idee-chiave del suo campo di studio, che mira ad unificare alcuni aspetti della teoria dei numeri , della geometria algebrica e della fisica teorica grazie a strumenti quali le forme automorfe o le funzioni-L di Dirichlet. All'inizio ci riesce, anche perché gli oggetti descritti sono relativamente semplici (come i gruppi delle trecce), ma più avanti l'autore decolla letteralmente, lasciando a terra, probabilmente, gran parte dei lettori. Ciò non è necessariamente un difetto, però, dal momento che i concetti sono comunque esposti in modo sufficientemente accattivante da stimolare ulteriori approfondimenti (nel frattempo, mi sono procurato questo libro - magari lo leggerò nella pausa natalizia; potrebbe essere interessante dare un'occhiata anche qui e qui).
Mi sento, quindi, di consigliare il libro senza riserve. Tra l'altro, il titolo mi ha riportato alla mente l'esordio di una conferenza a cui ho assistito qualche settimana fa, tenuta da un giovane, brillante e appassionato matematico, che suonava pressappoco così: "sono abbastanza stufo di sentirmi chiedere «perché fai matematica?»; sarebbe come chiedermi «perché stai con tua moglie?». La risposta è semplice: la amo. Tutto qui."

sabato 6 dicembre 2014

Bisticci

Nell'immaginario collettivo, il matematico viene spesso rappresentato come un personaggio freddo e distaccato, la cui immersione in un mondo astratto e irreale lo renderebbe quasi privo di emozioni. Ma, come potrà testimoniare chiunque abbia frequentato almeno per un po' gli ambienti della ricerca, le cose non stanno proprio così. Dall'amore sviscerato all'odio più profondo, anche l'animo del matematico è in grado di attraversare tutto lo spettro delle emozioni umane. Ed è quindi inevitabile che in un tale substrato di tanto in tanto nascano dei veri e propri conflitti, scatenati a volte dal comune interesse per il progresso della scienza, ma spesso anche da piccole e grandi invidie e vanità.
Il volume Great Feuds in Mathematics, del giornalista statunitense Hal Hellman (un vero esperto di "faide") riferisce proprio di dieci tra le "dispute più vivaci" che hanno animato la matematica negli ultimi cinque secoli, dal Rinascimento al '900.
Il libro si apre con un classico, cioè la diatriba sulle equazioni cubiche tra Cardano e Tartaglia; più avanti, si passa al rapporto conflittuale tra Cartesio e Pierre de Fermat, e ad un altro classicissimo, lo scontro Newton/Leibnitz sulla paternità del Calculus. Idealmente, con le schermaglie fraterne tra Johann e Jakob Bernoulli (da cui ebbe origine, ad esempio, il calcolo delle variazioni) si conclude la prima parte del libro.
Nella seconda parte del volume, per certi versi quella meno scontata, i conflitti si spostano sempre di più sul piano filosofico: innanzitutto, James Sylvester dibatte con il biologo Thomas Huxley a proposito del ruolo della matematica nelle scienze naturali. Poi, tornando nell'alveo della matematica vera e propria, in piena "crisi dei fondamenti" Kronecker si scontra con il suo allievo Cantor sul concetto di infinito nella nascente teoria degli insiemi, incapace di accettare l'aritmetica del transfinito introdotta da quest'ultimo, una mente senz'altro non convenzionale. Si passa poi all'assioma della scelta, casus belli tra Émile Borel e Ernst Zermelo. Sono poi di nuovo i fondamenti della matematica a scatenare l'attacco al logicismo di Bertrand Russell da parte di Henri Poincaré
Con la guerra tra il "topo" Hilbert e il "rospo" Brouwer (sono parole di Einstein, che battezzò la disputa War of the Frogs and the Mice) il conflitto si sposta nel campo della metodologia, con il formalismo di Hilbert a prevalere sull'intuizionismo di Brouwer. 
Il decimo e ultimo capitolo del libro è dedicato alla domanda forse più fondamentale della filosofia della matematica, che per la sua stessa natura è destinata a non avere mai una risposta definitiva: la matematica è scoperta o invenzione?
Insomma, un libro interessante, che ripercorre l'evoluzione della disciplina matematica negli ultimi cinque secoli da un punto di vista decisamente originale. L'autore non è un matematico, e non si inoltra quindi nei dettagli tecnici; ciò rende il libro (non ancora tradotto in italiano, credo) accessibile anche a chi di matematica non si intende troppo.